Le attività di storytelling autobiografico e creativo si presentano come occasioni preziose sia per allenare le competenze cognitive (come la memoria, il pensiero critico-inferenziale e l’empatia) sia per coinvolgere la dimensione emotiva e sociale.


Le pratiche narrative sono essenziali nell’intero percorso di vita. Sin dai tempi di Bruner, sappiamo che i soggetti attribuiscono significato alla realtà attraverso il racconto. Negli ultimi anni, per di più, si è scoperto – grazie ai progressi nell’ambito della medicina narrativa – che le pratiche narrative hanno un ruolo essenziale a livello terapeutico: basti pensare che soggetti affetti da patologie post-traumatiche, ad esempio, devono avere la possibilità di raccontare per ricostruire sia l’accaduto sia la propria identità, il proprio Self. Come se non bastasse, il raccontare sembra essere un’attività che influenza direttamente l’allenamento e il mantenimento di abilità cognitive come la memoria e il pensiero critico-inferenziale. La certezza dalla quale partire è la seguente: l’importanza dello storytelling deve essere riconosciuta in qualsiasi momento della vita, a maggior ragione nella terza età, fase in cui le abilità cognitive iniziano a declinare e fase in cui possono fare la loro comparsa eventuali difficoltà di natura identitaria-emotiva.


Le prime attività narrative che devono essere proposte ai soggetti agés sono di natura autobiografica, ovvero correlate all’esperienza personale. I recenti studi di psicologia narrativa, infatti, ci ricordano che le pratiche mnemoniche autobiografiche sono intrinsecamente correlate alla definizione di sé e, pertanto, al benessere mentale. É questo il motivo per il quale nei piani terapeutici dedicati ad un’utenza anziana, devono essere previste attività di questo tipo: basti pensare alle proposte che chiedono di raccontare eventi self-defining a partire da una fotografia personale oppure da una specifica tematica (il Natale, la vita familiare, il periodo scolastico, i figli eccetera). A tal proposito, due considerazioni sono necessarie. In primis, a dover essere integrate negli interventi mnemonici sono le immagini: le neuroscienze ci raccontano che i soggetti comprendono la realtà tramite il codice iconico e che solamente in seguito linkano le etichette verbali di riferimento (per tale ragione, è importante proporre attività di visual storytelling che suggeriscono sì di raccontare, ma tramite le immagini). In secondo luogo, a dover essere valorizzato è il linguaggio corporeo, il linguaggio dei gesti che spesso viene utilizzato dai soggetti anziani per compensare le latenti difficoltà di natura linguistica.


Raccontare di sé non è sufficiente. Gli psicologi ci dicono anche che la possibilità di progettare trame narrative controfattuali, finzionali si presenta come una pratica essenziale a livello di mantenimento cognitivo. Consideriamo, ad esempio, il programma statunitense Time Slips nel quale un piccolo gruppo di soggetti anziani prende parte ad un percorso di costruzione narrativa condivisa. In un primo momento i facilitatori propongono alcuni stimoli visivi (ad esempio, immagini che mostrano personaggi e setting) e successivamente danno la parola a ciascun partecipante, il quale ha la possibilità di aggiungere un “particolare narrativo”, utile per far progredire la trama. Va notato che programmi terapeutici di questo tipo consentono sì di intervenire a livello cognitivo (soprattutto a livello di pensiero creativo e inferenziale), ma al tempo stesso offrono occasioni di confronto e scambio sociale.


La tecnologia ha ormai invaso la nostra quotidianità ed è da considerarsi una risorsa irrinunciabile. Basti pensare ai nuovi robot sociali che consentono di creare setting terapeutici inclusivi nei quali gli utenti possono interagire in modo proficuo con la tecnologia e nei quali possono allenare simultaneamente sia le competenze cognitive che le competenze relazionali e sociali. Al riguardo, la comunità scientifica offre stimoli di riflessione davvero rassicuranti: interventi sperimentali condotti negli ultimi anni con robot sociali come Paro oppure Stevie testimoniano un elevato coinvolgimento emotivo dei partecipanti e, di conseguenza, risposte significative dal punto di vista cognitivo (nell’interazione con i robot, i soggetti sembra essere più propensi a partecipare ad attività di storytelling, a giochi mnemonici e a giochi di movimento).

Uno degli obiettivi principali di Lively Ageing è mettere a punto – grazie alla collaborazione con il Dipartimento dei Metodi e Scienze dell’Ingegneria – un dispositivo robotico che consenta agli utenti anziani di prendere parte ad attività interattive con obiettivi cognitivi e sociali. La costante delle proposte sarà il racconto, lo storytelling: i partecipanti potranno prendere parte, ad esempio, a giochi mnemonici avviati grazie all’interfaccia del robot oppure ad attività fisiche che chiedono di muoversi nello spazio a partire da specifici input correlati ad uno sfondo narrativo.